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L'emigrazione verso il Canada

L'emigrazione italiana diretta verso il Canada si fece massiccia solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, infatti nel periodo precedente fu molto limitata a causa di eventi storici e politici riscontrati nei due Paesi.

Alle leggi fasciste antimigratorie, si affiancava una politica emigratoria restrittiva instaurata dal governo canadese che, nel 1939 con un decreto, vietò l'ingresso nel Paese dei cittadini appartenenti ai paesi nemici (tra cui l'Italia).

Bisognerà aspettare il 1951 per l'abrogazione del precedente decreto e fu allora che l'emigrazione italiana riprese con gran fervore, tanto da raggiungere, dal 1946 al 1960, una quota di espatri di circa 400.000 unità; al secondo posto solo dopo l'emigrazione dei paesi anglosassoni.

Negli anni successivi al secondo conflitto mondiale si passò da una richiesta di manodopera non qualificata, adibita ai lavori per l'urbanizzazione dello Stato, ad una più specializzata pronta a garantire una crescita industriale del paese.

Le richieste di lavoro da parte del governo canadese, insieme a quelle di altri Stati, arrivarono presto negli uffici di occupazione dei vari comuni, e poi, in base al numero delle adesioni si sceglievano gli interessati. Già nel presentare le domande, l'impiegato distoglieva coloro che avevano meno possibilità di partire (in particolar modo gli anziani o chi aveva avuto qualche problema con la giustizia).

Nel comune di Montenerodomo le prime richieste risalgono agli inizi del '51, quando all'ufficio di collocamento pervenne la richiesta di 5 unità da destinare a lavori agricoli. Comunque sia, il primo gruppo diretto verso il Canada era formato da 5 giovani; i quali partirono senza altri componenti della famiglia e, come era consuetudine, avrebbero eseguito l'atto di richiamo solo dopo essersi stabiliti e certi di poter sostenere economicamente il resto del nucleo familiare.

Se si considera che mezzo secolo prima, i nostri emigranti in America erano chiamati "birds of passage" per via della loro breve permanenza, spesso corrispondente ai periodi "morti" del calendario "agricolo"; lo spirito di emigrazione nel dopoguerra era cambiato. Ormai l'oltreoceano rappresentava un punto di solo arrivo, poiché la legislazione emigratoria stabiliva che il periodo minimo di permanenza doveva essere di un anno, inoltre, il salario base non permetteva di estinguere i debiti e pagare il biglietto di ritorno. A differenza del periodo precedente, quando la popolazione cercava di fuggire al malcontento causato dall'Unità d'Italia, negli anni in questione, abbandonava con dolore un'Italia che distrutta da una guerra irresponsabile, faticava a rinascere. Fu proprio questa forza di volontà a sacrificare la gioventù verso un mondo tutto sconosciuto ed ad incoraggiare i nostri pionieri ad emigrare. Prima di partire i nostri compaesani dovettero recarsi a Napoli per i previsti controlli sanitari e nel momento in cui risultarono sani, furono costretti a contrarre un debito almeno per pagare il biglietto di andata. Nella maggior parte dei casi, i soldi provenivano da famiglie che precedentemente avevano fatto fortuna in America.

Gli emigranti cominciarono così una nuova esperienza: presero il treno alla stazione di Palena ed arrivarono a Napoli dove s'imbarcarono. Il viaggio durava 13 giorni, ma già la vita nella nave anticipava la bolgia di lingue, o più precisamente dialetti, visto che i passeggeri provenivano prevalentemente dalle varie regioni dell'Italia centro-meridionale.
C'erano adulti, intere famiglie, bambini, i quali spesse volte al disagio per lo sradicamento dal proprio habitat, si accompagnavano i lamenti per le infezioni contratte durante il viaggio, dovute al cambiamento di clima e soprattutto alla scarsa igiene sulle navi. A tal proposito è rappresentativo il ricordo di una donna partita per raggiungere il marito, quando sulla nave non riusciva a calmare i pianti della figlia di pochi anni a causa delle bolle nella bocca che non le permettevano nemmeno di mangiare.

Il porto di Holifax, che a grandi linee rappresentava l'Ellis Island americana, era il porto di arrivo dove i nostri compaesani sbarcarono e dove perveniva la maggior parte degli emigranti. Dal porto, i primi monteneresi sbarcati furono accompagnati nell'Ontario, presso alcune famiglie di contadini. Essi avevano diritto a vitto, alloggio ed uno stipendio irrisorio, (come risultava dal contratto di lavoro già stipulato in Italia). Il loro compito era di svolgere lavori agricoli, essi lavoravano per più di 15 ore al giorno, e la loro alimentazione quotidiana era costituita da patate (unico cibo loro offerto).

Di quei primi emigranti, alcuni più fortunati riuscirono a trovare un'occupazione migliore prima del termine stabilito dal contratto, mentre altri furono costretti ad aspettare il fatidico anno per poi "essere liberi".

La seconda ondata emigratoria montenerese (sempre diretta verso il Canada) avvenne nel 1957 e segui' la stessa sorte: seppure la destinazione era ugualmente l'Ontario, il lavoro. questa volta,era offerto da una compagnia ferroviaria e consisteva nel disboscamento dei boschi per la costruzione della ferrovia.

Quest'esperienza si rivelò comunque sacrificata poiché i lavoratori furono costretti ad abitare in luoghi non urbanizzati, in baracche occupate da uomini che spesso non provenivano nemmeno dagli stessi Paesi.
Tuttavia, a seguito delle diverse esperienze lavorative, i monteneresi si trasferirono nel Quebec, e precisamente a Montreal e nelle zone limitrofe dove le offerte di lavoro rispecchiavano più ad una vita decorosa; infatti, le opportunità erano più appetibili: fabbriche, edilizia, ecc.
Comunque sia, furono proprio queste persone che, una volta assicurata una garanzia economica e sociale, richiamarono dall'Italia il resto della famiglia o altri amici e parenti.
Dalle testimonianze raccolte emerge, che ai monteneresi costretti a partire si presentava una scelta difficile: la nostalgia incolmabile verso il nostro paese e, contemporaneamente, il senso di disperazione che li spingeva ad emigrare.
In effetti, il Canada si presentava un territorio ostile agli emigranti italiani: il clima umido con inverni rigidi; i lavori più umili, spesso in zone ancor più disagiate di Montenero, la lingua difficile da comprendere, oltre ai pregiudizi da parte degli anglosassoni che etichettavano negativamente la nostra gente; tuttavia si sopportava ogni cosa, e tutto per un famigerato salario.
Il Canada era un mondo tutto nuovo, fatto di umiliazioni e duro lavoro, tuttavia lo scopo della permanenza era un riscatto, prima di tutto economico e poi sociale. La seconda forma di riscatto è stata una conseguenza della prima, infatti, attraverso il duro lavoro e lo spirito di iniziativa, i nostri monteneresi hanno cercato di migliorare sempre il proprio status sociale, arrivando ad occupare anche posti di prestigio.
Una signora ormai anziana ricorda così quei tempi: "Quando arrivai con mio marito e i miei 2 figli in Canada, fu molto difficoltoso adattarmi, quindi cercai di rimanere vicino a quelli di Montenero. Andai a lavorare in una fabbrica tessile con altri di Montenero, lavoravo tante ore al giorno, però tornata a casa non facevo altro che piangere, e più passava il tempo e più mi rendevo conto che non c'era un'altra soluzione: dovevo rimanere lì! Poi ricordo il primo salario che ricevemmo io e mio marito, ci sembravano tanti soldi e per contarli li spargemmo sul letto, sembrava una coperta, una coperta di soldi! Quando mai a Montenero avremmo potuto guadagnare così tanti soldi? E fu così che cominciai a rassegnarmi.
Oggi mi trovo bene, i miei figli stanno bene, e sinceramente avrei difficoltà a ristabilirmi a Montenero, anche se periodicamente vi faccio ritorno. Però una cosa è certa: se mi avessero detto prima di partire che cos'era in verità "l'America", non avrei mai lasciato il mio paesello! "Oggi nella sola Montreal c'è una comunità di Monteneresi costituita da 211 famiglie e circa 500 persone, essa ha mantenuto vivo il ricordo del nostro paese.
Infatti è stato proprio questo sentimento di vicinanza al paese di origine, che ha permesso ai nostri emigranti di costituire e frequentare un Club di Montenerodomo; il cui scopo principale è quello di aggregare i nostri compaesani, attraverso attività ricreative e culturali. Tra le prime, di notevole importanza sono le feste conviviali a febbraio in corrispondenza dell'anniversario della fondazione e in estate e a settembre in ricordo della festa di San Fedele, patrono di Montenero.
Tra le attività culturali, c'è la pubblicazione di un giornale che informa la popolazione degli eventi che accadono.

Tutto questo per dimostrare che i nostri compaesani in Canada hanno mantenuto e rafforzato l'animo collaborativo e tradizionalista, lo stesso entusiasmo saputo trasmettere anche ai propri figli e nipoti, i quali continuano ad avere legami con il nostro paese.