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L'Emigrazione dopo la seconda guerra mondiale

Il flusso migratorio si è intensificato dopo la liberazione dell'Italia da parte degli alleati.

Il paese dilaniato dalla fame e dalla distruzione è stato incapace di garantire il sostentamento ai propri abitanti, per cui, ancora una volta, la povertà ha portato gli individui a cercare "pane" altrove.

Nel dopoguerra si è registrato un alto tasso di espatri, tant'è che dal 1951 al 1971, la popolazione è diminuita del 42% (da 2002 a 1276 abitanti). Per quanto riguarda l'immediato dopoguerra, nell'archivio comunale è conservata una significativa documentazione di reclutamento di minatori nelle miniere della Sardegna (1948): in tali scritti si precisano i guadagni e gli eventuali consumi (vitto, alloggio e pulizia) spettanti a chi avesse voluto intraprendere questa ennesima esperienza. Ciò nonostante, i monteneresi hanno preferito la ormai nota strada dell'Oltreoceano.


Le mete più ricercate risultano ora il Venezuela e l'Argentina; quest'ultima, grazie anche all'accordo firmato con l'Italia, ma già nella metà degli anni '50 ci fu un cambio di direzione causato da eventi politici (caduta di Peròn) con conseguente crisi inflazionistica.

In comune con l'emigrazione transoceanica dell''800 e '900 c'era il reclutamento, ossia il fenomeno per cui i primi "pionieri", dopo essersi ambientati ed assicurati il posto di lavoro, richiamavano parenti ed amici che erano rimasti a Montenero. In questo ultimo periodo, però, partivano interi nuclei familiari, tant'è che il valore dell'emigrazione femminile aveva raggiunto quello maschile.

Per quanto riguarda le professioni esercitate in terra straniera, vi era grande richiesta di braccianti agricoli.

Da esperienze raccolte emerge che, pur non corrisposto il duro lavoro da adeguata remunerazione, i guadagni erano comunque più elevati che in Italia.

Proprio in questo periodo, infatti, si assiste ad una crescita economica del nostro paese. I miglioramenti che hanno contribuito al progresso del tenore di vita dei nostri compaesani sono tangibili ed osservabili nella ricostruzione dell'abitato, in un più ricco (non più proibitivo) stile alimentare attraverso il consumo di prodotti non più esclusivi (caffè, zucchero ecc...), nei tessuti più pregiati, nell'uso del tabacco...

Parallelamente alla strada delle Americhe, i nostri compaesani hanno trovato sbocco anche in Italia, precisamente, verso Roma, richiamati da persone che si erano stabilite già durante il periodo fascista: si è trattato di lavori stagionali, prestati soprattutto al settore edilizio.

Una svolta dell'emigrazione si ha verso la fine degli anni '50, poiché, grazie alla nascita del MEC (1957), si aprono le frontiere verso la Francia e il Belgio. In base agli Accordi con l'Italia, sono stati formulati i contratti di lavoro temporaneo e di residenza per gli immigrati italiani, su specifica richiesta da parte del Paese ricevente.

L'emigrazione europea ha interessato prevalentemente il sesso maschile ed ha attinto principalmente da manovalanza impiegata nel settore agricolo.

In questi anni nel paese si è assistito ad un depauperamento della manodopera maschile; la donna, di conseguenza, ha rivestito un ruolo importante nell'economia domestica. Ha amministrato con parsimonia le rimesse, ha investito sul rifacimento delle abitazioni, sulla scolarizzazione dei bambini, spinti ed incoraggiati a completare almeno la scuola dell'obbligo


 Coloro che hanno scelto la via delle miniere non hanno avuto un'esperienza meno sacrificata rispetto a quanto già occorso ai compaesani che li hanno preceduti in quegli stessi luoghi di lavoro. Prima di partire dovevano assicurarsi un contratto di lavoro (da esercitare all'estero) e solo dopo aver superato le visite mediche del caso potevano intraprendere il viaggio. Arrivati a destinazione venivano sottoposti ad ulteriori visite molto accurate e, se le condizioni di salute risultavano buone come riportato negli appositi "carnet sanitarie", si aveva il diritto definitivo al sospirato posto di lavoro. Purtroppo tali controlli venivano effettuati solo all'andata, poiché al ritorno nessuno si preoccupava se le condizioni fisiche erano peggiorate, come se non si avesse a che fare con esseri umani, ma con strumenti utilizzati esclusivamente per il lavoro lavoro.

La dignità umana finiva nel momento in cui veniva preso il treno, non più aria pulita, lavoro collettivo nei campi tra la fatica e l'allegria, ma solo giornate spente, in una baracca condivisa con altri uomini spesso sconosciuti, senza acqua e nessuna comodità con un orario di lavoro di otto ore al giorno, distribuito su due turni; e un guadagno relazionato alla produzione effettiva di carbone.

Da testimonianze più o meno dirette, si riporta che scendevano a più di 1000 metri sotto il suolo con un apposito ascensore e ognuno si preoccupava di scavare una galleria, senza che la propria salute fosse tutelata.
Quando nel 1956 è avvenuta la tragedia di Marcinelle (Belgio), alcuni monteneresi hanno assistito al doloroso evento, ma grazie al cielo, nessuno lavorava in quel turno.

In seguito alla dura esperienza della miniera, molti nostri compaesani si sono orientati verso la Svizzera e la Germania, dove i settori maggiormente occupati sono stati quello edilizio ed industriale. Minore ma sempre presente il flusso verso i Paesi Transoceanici quali il Canada e l'Australia, che si avviavano ad un processo di urbanizzazione e popolamento.

In tutti i casi, l'emancipazione femminile ha permesso anche alle donne di trovare impiego. Questo ha significato un punto di non ritorno per il nostro paese, in quanto numerose famiglie sono partite e si sono stabilite definitivamente all'estero.

Dalle esperienze raccolte si evince che le persone prima di emigrare immaginavano l'America come il "Paese dei Balocchi", dove, con un lavoro garantito sarebbero stati liberi e ricchi; ma giunti a destinazione l'impatto risultava difficoltoso. Malgrado la dignità di queste famiglie che pur non avendo niente, portavano con loro la volontà di fare bella figura, e braccia per lavorare, non sempre sono stati ben accetti dagli indigeni. Oltre ad umilianti atteggiamenti razzisti, la lingua rappresentava il primo ostacolo, tant'è che alcune persone ammettono di non averla potuto imparare perché "si doveva pensare a fare soldi non a studiare". Spesse volte, erano trattati inoltre erano costretti ad abitare in luoghi isolati e solo nei giorni festivi era possibile ritrovarsi con i compaesani. Tuttavia, non era possibile tornare indietro, sia perché già avevano contratto il debito per emigrare e trovare altri soldi per tornare a casa, che per l'orgoglio a non essere considerati dei falliti.


 Dopo gli anni '60, in coincidenza con lo sviluppo industriale nell'Italia Settentrionale, molte famiglie si sono stabilite al Nord, privilegiando città come Milano Bologna, Torino.

Pur trattandosi di emigrazione permanente, oggi per loro è molto più facile mantenere contatti con il paese di origine, grazie ai mezzi di trasporto, alle innovazioni tecnologiche e multimediali.
Tuttavia da sempre i monteneresi che sono emigrati hanno portato con loro usanze, lingua del nostro paese.

In conclusione si può affermare che con la perseveranza, il coraggio ed il sacrificio di molti dei nostri compaesani, oggi (grazie anche allo sviluppo industriale della zona della Val Di Sangro) Montenerodomo è diventato un paese accogliente che pur proiettandosi verso il futuro, non dimentica le solide basi che i nostri emigranti hanno posato nel passato. Oggi più che mai, anzi, si sta acquisendo una sempre maggiore consapevolezza di ciò che i nostri genitori ed il nostro territorio hanno saputo fare e dovuto affrontare, alimentando in noi tutti la volontà di non dimenticare!

Principali paesi di emigrazione italiana nel periodo 1876-1976 (*)
Paesi europei
Paesi oltreoceano
Francia 4.117.394
USA 5.691.404
Svizzera 3.989.813
Argentina 2.969.402
Germania 2.452.587
Brasile 1.456.914
Belgio 535.031
Canada 650.358
Gran Bretagna 263.598
Australia 428.289
Altri 1.188.135
Venezuela 285.014
Totale 12.546.558 11.481.381
TOTALE GENERALE 24.127.939

(*) Fonte : Istat 1978