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Voci dalla guerra: tra storia e memoria

Le seguenti testimonianze sono state tratte dal giornale " Pro Locis", n.4 ottobre 2002, pubblicato a Gessopalena (Chieti) di cui è direttore responsabile Gino Melchiorre che ringraziamo per la cortese autorizzazione. Il prof. Melchiorre ha curato anche la pubblicazione dell'interessante volume " Voci dalla guerra".
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Onorina Nero:
Fu il 4 ottobre 1943. In paese c'era la processione di S. Francesco d'Assisi.
Ci stavo anch'io. Ad un tratto arrivarono due tedeschi su una moto. Ci spaventammo tutti, e ci "spaliammo" di furia per il paese. La processione finì a quel punto.

Arnaldo D'Antonio
Una sera d'ottobre alcuni tedeschi picchiarono forte alla nostra porta. Mio padre non aprì. Alla casa attigua accadde lo stesso. Più in là il mugnaio aprì la porta del mulino, e scappò. Quella notte andammo a dormire dalla zia, ma dopo abbandonammo il paese e sfollammo a Casale, nella masseria Carozza. A dicembre ce ne andammo a Pennadomo. A Montenerodomo i tedeschi si stabilirono con due presidi.

Giuseppe Rossi (di genevazio).
I tedeschi avevano un magazzino nella casa di Vincenzo Porreca: ci ammazzavano le bestie rubate ai contadini. Prima dell'abbattimento delle case, in paese erano rimaste solo le donne. Gli uomini erano scappati tutti e avevano costruito delle capanne nel bosco comunale Paganello.
A fine novembre i tedeschi dissero a tutti di sgombrare le case: il banditore comunale con le trombe avvertì la gente di andare via e la gente se ne andò da un giorno all'altro portandosi le cose principali. Il paese fu distrutto tra il 23 e il 30 novembre.

Antonella D'Orazio
Mia madre, Anita Cianci, era figlia di Ottorino, maestro elementare originario di Roccascalegna. A metà dicembre il padre la prese con sé per portarla a Roccascalegna. Andando verso Casale mio nonno mise il piede su una mina e saltò in aria. Mia madre rimase illesa: solo un graffio alla mano sinistra. Vide il padre morire in quel modo. Aveva 10 anni.

Giuseppe Rossi
Il l° gennaio nevicò assai. Le macchine dei tedeschi non potevano "sficcare" a Fonticelle.
Qualche giorno dopo mio padre vide i tedeschi che mettevano le mine antiuomo lungo la strada per Salconeto. A Selvoni erano rifugiate varie famiglie tra cui quella dei Mariotti e dei Croce che da Chieti passava l'estate nel proprio palazzo a Montenerodomo. Mingo di pulinice detto "baffone" andò a Selvoni a prenderle, perché quelle persone volevano tornare a Chieti. Mio padre le avvisò delle mine, ma vollero passare lo stesso: saltarono per aria la signora Maria Aquilante, moglie di Ettore Mariotti, ed Elisa Croce. I loro corpi rimasero lì per tutto l'inverno.
Qualche giorno dopo il fatto, io e Angelo Carozza decidemmo di andare a vedere i due morti. Prima venimmo in paese: un cumulo di macerie. Andai a vedere la mia casa. Proprio di fronte al nostro vecchio negozio c'era una porta sfondata, le " lamie" erano crollate, ma non i muri.
D'entro vidi tanti morti, stesi uno sopra l'altro. C'erano anche dei bambini. Ci impressionammo, e scappammo via. Allora andammo a vedere la casa distrutta di Angolo Carozza. Nella "terrata" trovammo quattro vacche uccise. I tedeschi non potevano portarle via per la neve, e le avevano uccise. Da lì andammo poi a vedere i corpi di Maria Aquilante e Elisa Croce.
Noi paesani sfollati avevamo un segnale per avvisarci tra noi dell'arrivo dei tedeschi: nella masseria Quaiariello gli abitanti mettevano una coperta rossa se c'erano i tedeschi nelle vicinanze, un lenzuolo bianco per la via libera. Dal bosco si vedeva la masseria.

Maria Rossi (d' cherubin')
Noi stavamo sfollati nella masseria Carozza, a Casale, con molte altre famiglie. Gli uomini si nascondevano nel bosco. Arrivano 8 - 9 tedeschi, e mi chiedono: "Dov'è papà, bambina", e io rispondo: "In guerra", e mi danno una botta sulla schiena. Nel bosco avevamo le vacche, la giumenta, i porci e altri animali. I tedeschi tornarono quando gli avevano sparato al mulo. Erano indiavolati, e dalla strada sparavano continuamente verso il bosco, e colpirono Donato Di Luca che era uscito dal bosco.
Dalla masseria scapparono via Michele Rossi, Cherubino Carozza e Nicola Lalli, uno appresso all'altro. Nicola fu colpito e cadde addosso a Cherubino, che non si accorse che era morto, e gli diceva: "Non mi ti appoggiare così!".
A Montenerodomo era rimasto solo Pietro D'Antonio, anziano. Di tanto in tanto veniva il figlio Francesco a trovarlo. Un giorno Cicco stava uscendo dalla casa del padre, si trovava sulle scale, e vide i tedeschi arrivare da poco distante. Cercò di rientrare in casa, ma i tedeschi lo colpirono a morte. Aveva la famiglia sfollata a Roccascalegna. Il padre si tenne il figlio morto in casa per parecchi giorni, fino a quando vennero la moglie e i figli a cercarlo.
Tra Selvoni e Lago Saraceno vennero uccise molte persone. Tra queste Domenica Di Lullo, 31 anni, incinta, insieme a tre suoi bambini: Anna Emilia, Rocco e Rosa Di Rocco. Non s'è mai saputa la causa della loro uccisione. I loro corpi vennero composti in una stalla, e scoperti per caso da Domenico Troilo, partigiano di Gessopalena, durante una ronda tra Fallascoso e Selvoni.
I morti di Montenerodomo furono 55, da ottobre a maggio, tra i quali 11 bambini. Il paese fu distrutto totalmente.
Una relazione del Comune del 15 dicembre 1971, firmata dal sindaco pro-tempore Lorenzo D'Orazio (fu partigiano della Brigata Majella), racconta alcune vicende belliche ed enumera le case abbattute: su 400 abitazioni, ne rimasero in piedi solo 5.

Altre testimonianze
Gesualdo Carozza
Ricordo che fu tutto un accorrere confuso, agitato,chiassoso dietro la chiesa evangelica e la casa di Fedele di "Terremoto". Tutti a guardare verso " lu vuate de Cocc(e)" da dove giungeva, fino a noi, un rimbombo continuo,cupo, minaccioso, sempre più forte. Ad un tratto il rumore fu acuto, sibilante, aggressivo. Ne seguì un fragore impressionante di scoppi di bombe. La terra tremava. Dissero "stanno bombardando Sulmona". Sentimmo gli aerei tornare più volte sui loro obiettivi. Poi li sentimmo allontanarsi. L'operazione era compiuta. Noi non li vedemmo.Tutto si era svolto dall'altra parte della Maiella.
La folla che aveva "assistito" all'evento rimase muta, con lo sguardo fisso verso il Passo di Coccia. In un silenzio sgomento ci incamminammo verso le nostre case. Era la fine di settembre del 1943.

Domenica Rossi (di laurenzitt).
Nonna Albina
Mio padre, Lorenzo Rossi, aveva la mamma che non poteva camminare. Allora papà non sapeva come fare per portarla a Roccascalegna dove noi eravamo sfollati, poiché a quei tempi non c'erano mezzi di trasporto. Le persone come mia nonna dovevano andare a piedi ma lei non poteva. Mio padre era disperato di non poter portare anche mia nonna a Roccascalegna.
Si avvicinava Natale, era precisamente il 23 dicembre del 1944. Papà disse a mamma "Io vado a Montenero e se posso portare mamma ritorno, altrimenti resto con lei. Dopodomani sarà Natale, vedi tu come puoi fare con le nostre figlie".
Grazie a Dio, mio padre riuscì a portare mia nonna. E sapete come ? La caricò a dorso di un mulo dopo averla sistemata in un grande cesto ( lu paiuole), che era usato normalmente per portare il fieno.
Quando arrivò a casa con la nonna fu un grande momento. Passammo il Natale tutti contenti: anche se non c'era niente, eravamo tutti riuniti.

Nicola Rossi
I danni che porta la guerra. Storia personale
Siccome Montenerodomo era un caposaldo della linea Gustav e si sparava continuamente si trovava dappertutto del materiale bellico : proietti di cannoni, mine, bossoli di fucili e di mitragliatrici, capsule detonanti, ecc...
Un giorno mio fratello Giuseppe riportò a casa delle capsule detonanti. Io, un po' curioso e intrigante ne presi una e incominciai ad aprirla. Il vecchio Isidoro Lucci di Pennadomo, padrone della casa dove eravamo sfollati, mi disse " Nicola vai fuori a giocare con quella capsula ma stai attento che è pericoloso; può scoppiare".
Me ne andai fuori e continuai a cercare di smontare la capsula. Ad un tratto si verificò quello che il vecchio Isidoro mi aveva detto. L'ordigno mi scoppiò in mano e mi portò via le prime tre falange di tre dita della mano destra: il pollice, l'indice e il medio.
Adesso beneficio di una piccola pensione.

Nicola Rossi (Canada)
dal " Diario personale"
L'8 settembre del 1943 l'Italia smette di fare la guerra. Firma l'armistizio. Noi credevamo che la guerra fosse finita, ma invece per noi essa incominciava. Qualche giorno dopo arrivarono a nel nostro paese gli sfollati dalle altre città d'Italia perché pensavano che in un paese piccolo come Montenero la guerra non sarebbe arrivata. Invece non fu così. Un giorno essi arrivarono e andarono in giro per il paese con l'altoparlante chiedendo cose da mangiare come prosciutti, maiali,pane, vitelli, ecc... Successivamente ci dissero di abbandonare le case. Ma la gente non voleva. Ma fu costretta ad andare via con le minacce: chi si rifugiò nei boschi vicini, chi nelle masserie.
Noi, la famiglia, di Fedele Rossi detta di genevazio, avevamo una casetta alla vigna, contrada pantaniel, e andammo là. Ma io ero nel bosco vicino (paganiello) con il cavallo e due mucche e andavo nella casetta per prendere qualcosa da mangiare e qualche volta mi assicuravo che le bestie fossero ben legate e tornavo alla casetta quando pioveva o faceva troppo freddo. Le bestie le avevamo nascoste nel bosco se no i tedeschi se le rubavano.
Verso la metà di novembre, proprio quando cominciò a nevicare, fummo costretti a lasciare la casetta e a rifugiarci alla masseria di un fratello di mio padre (Fedele di scolastro). Io però dovevo restare nel bosco a fare il guardiano delle mucche e del cavallo.
Appena prima di Natale vendemmo le mucche. Ci era rimasto il cavallo chiamato "barone". Dalla vendita delle mucche ricavammo 3.000 lire e appena dopo Natale sfollammo a Pennadomo a casa di Lucci Isidoro ( detto pistilli) dove c'era da mangiare anche per il cavallo. Io andavo quasi ogni giorno a fare la legna nel bosco di un paese vicino, Buonanotte. Un giorno vennero le guardie forestali e arrestarono tutti quelli che tagliavano la legna. Noi sfollati di Montenero a Pennadomo ci ribellammo e ci lasciarono fare la legna. Io non avevo nemmeno le scarpe e Amalia, sorella di Maria, nuora di Isidoro, mi prestava le sue scarpe ed io in cambio portavo la legna anche a loro.
Qualche giorno tornavo a Montenero per cercare qualche cosa tra le macerie. Un giorno di marzo '44, che ero tornato a Montenero, vidi all'Aia di Croce alcune mucche morte lasciate dai tedeschi Erano gonfie come palloni, perché morte già da un po' di tempo, ma anche se la carne non era buona da mangiare, con la pelle si poteva fare le cioce ed io ne spellai un pezzo da una vacca abbastanza per fare le cioce per tutta la mia famiglia.. Ma quella pelle era troppo secca e scorticava i piedi e se bagnata scivolava dappertutto. Era una disperazione ma non c'era nulla da fare.

Nicola Rossi (Canada)
All'inizio di aprile i tedeschi abbandonarono Montenero. Però di tanto in tanto venivano le pattuglie. Mio padre, mia madre e mio fratello ritornarono da Pennadono per ricoprire la casetta che era stata bruciata Anche le mie sorelle, dopo alcune settimane ritornarono mentre io, Nicola, addetto al cavallo, rimasi a Pennadomo per pulire la stalla del cavallo e portare il fumier alla vigna di Isidoro che era vicino al fiume di Bomba.; non potevo fare più di 3 viaggi al giorno. Successivamente tornai anch'io alla casetta.
In questa casetta che misurava 3 x 3 metri si riunì tutta la nostra famiglia e spesso tornavamo a Montenero per preparare il materiale per ricostruire la nostra casa . E siccome il fienile era stato solo bruciato i muri non erano caduti perciò ci voleva solo il tetto. Così lo ricostruimmo e facemmo anche una "lampia" del primo piano e nello stesso tempo si andava in campagna a seminare soprattutto il granoturco.

Gesualdo Carozza
Ai vespri dell'8 settembre
La sera dell'8 settembre del 1943, celebrazione della nascita di Maria Vergine, il parroco don Angelo Rossi stava celebrando i vespri quando ad un tratto entrò in chiesa " qualcuno" che andò dritto all'altare, parlottò con il sacerdote il quale interruppe la funzione ed annunciò che la radio aveva dato la notizia che l'Italia aveva firmato l'armistizio.
Ricordo che vi fu un trambusto generale. I fedeli scoppiarono in lacrime, si abbracciavano per la gioia, pregavano ad alta voce e ringraziavano la Vergine, questo o quel santo per la "grazia ricevuta". La guerra in Grecia, Albania, ed altri fronti sarebbe immediatamente finita e i loro uomini: padri, fratelli, mariti e figli sarebbero presto ritornati a casa.
Io rimasi confuso e stupito di tanta confusione, proprio in chiesa, fatta da gente sempre rispettosa della sacralità del luogo e di una funzione religiosa. Avevo 7 anni.
Capii un po' di più e meglio quando una signora , Donna Elisa Croce, che morì poche settimane dopo uccisa da una mina, spiegò ad alta voce di cosa si trattava e concluse il suo breve intervento, invitando tutti i presenti a pregare ancora di più, poiché l'Italia avrebbe presto, molto presto, sofferto per una guerra ancora più crudele : l'esercito tedesco, di stanza in Italia, avrebbe immediatamente occupato il nostro Paese e vendicato l'affronto subito. E fu proprio così.

Antonio Di Francesco (Paccott)
"Avevo solo 15 anni quando i miei occhi videro cose terribili in seguito all'occupazione della nostra terra da parte dei tedeschi invasori........." - " Cominciarono razzie di ogni genere, di ogni bene. Poi venne l'ordine di evacuare il paese e subito dopo due squadre di guastatori ....distrussero il paese. Io e mio fratello Oreste, di qualche anno più piccolo , dall'alto di una collina a ridosso del paese e al riparo di una roccia per non farci scoprire, guardammo il triste spettacolo della distruzione del paese compresa la nostra povera casa ". ..............-
Testimonianza di Antonio estratta da un suo intervento fatto presso una scuola secondaria superiore di Pescara in occasione della celebrazione del 25 aprile 2005. Per il testo integrale dell'estratto manoscritto cliccare qui.

Giuseppina Rossi (Burricchio) in Coladonato
6 febbraio 1944.
Era una bellissima giornata di sole.
Nella nostra masseria eravamo in 15 persone; con noi c'erano i mìei genitori, i miei fratelli, alcuni sfollati di Colledimacine (famiglia Barone) ed i vicini di casa, Calabrese Giuseppe e Carluccio di Fallascoso che erano venuti a trovarci. Da lontano vedemmo arrivare due tedeschi in divisa e armati; venivano da località Feudo dove avevano le postazioni. Nessuno di noi scappò; restammo tutti in casa, in silenzio, ad aspettarli. I due arrivarono e con aria minacciosa ci fecero uscire fuori; uno ci controllava con il fucile spianato pronto a sparare, l'altro, in poco meno di mezz'ora, si fece consegnare tutte le provviste e iì ben dì Dio che tenevamo in casa per superare l'inverno ancora lungo. Riempirono 4 sacchi con pertiche di salsicce, prosciutti, formaggi, patate. In casa con noi c'era mio fratello Fedele, (1925) militare tornato da poco tempo dalla Sicilia.
I tedeschi ordinarono a Fedele di seguirlo per trasportare i viveri; mio padre Domenico li supplicò dicendo: " il ragazzo è malato, ha bisogno di cure, vengo io al posto suo! ". I due, senza nessuna pietà, non solo non lasciarono Fedele, ma anche papa Domenico fu costretto ad andare con loro insieme a quei due poveretti di Giuseppe e Carluccio che per caso si erano trovati a casa nostra. La disperazione era tanta. In lacrime, i 4 furono costretti a seguire i tedeschi. Quella sarebbe stata l'ultima volta che avremmo rivisto i nostri cari.
Le condizioni climatiche peggiorarono e dal bel sole si scatenò una violenta bufera di neve. Le
visite per noi purtroppo non erano ancora finite, di lì a poco sopraggiunsero altri due tedeschi che
ripulirono la casa di quelle poche cose ancora rimaste (coperte, lenzuola ).
Io e mamma Carmela abbandonammo la casa e fummo ospitati dalla famiglia D'Orazio(di Nuoble).
Dopo alcuni giorni tornammo alla masseria. Per prima cosa pensammo di accendere un bel fuoco, il nostro intento era quello di far notare che la casa era abitata, ma il nostro, per cosi dire piano, fallì. Non facemmo altro che attirare ancora ìe attenzioni dei tedeschi, che in poco tempo, ritrovammo ancora tra i piedi. Era la terza volta in pochi giorni. Questa volta, però, non ci trovarono! Scappammo via lungo il fosso di Colle Cupo e raggiungemmo contrada Bosco Barone presso la famiglia Pasquarelli che ci ospitò per diversi mesi.

La speranza di ritrovare i nostri cari era sempre viva in noi! Purtroppo il 15 giugno 1944, Barone Ernesto di Colledimacine, amico di famiglia, ci venne a comunicare la triste notizia del ritrovamento dei corpi senza vita di papa Domenico e di mio fratello Fedele ritrovati, esamini, abbracciati in una fossa da loro stessi scavata in località Feudo. Si consumava la nostra tragedia che tanto segnò la mia famiglia e che purtroppo non fu l'unica nel nostro paese.