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L'eversione della feudalità a Montenerodomo

Con ordinanza n. 153 del 6 ottobre 1810 il De Thomasis provvide alla ripartizione del demanio del suo Comune natale nella maniera seguente:
136 tomoli di terreno situati in Contrada Marangola vennero distribuiti alle sessantadue famiglie più povere del Comune; ad ogni "fuoco" venne poi assegnato una quota a prato alle "Petrucche" ed una a bosco nella cosiddetta "Selva del Comune" con divieto per entrambi di messa a coltura, cosa tassativa per quest'ultima che sarebbe dovuta rimanere "perpetuamente addetta alla ripristinazione degli alberi". Il canone annuo da corrispondere all'Ente fu stabilito in 15 grana a tomolo per le terre di Marangola, due carlini a tomolo per le Petrucche e 5 grana, sempre a tomolo, per la Selva.
Ma, condotti i periti sulle terre di Contrada Marangola per il partaggio, si desistette dalla divisione perché dette terre, in quanto franose, furono ritenute non adatte alla coltivazione.
Con sentenza del 31 dicembre 1811 il Commissario del Re dispose quindi che i coloni che erano già affittuari di oltre 10 tomoli di terre comunali ne restituissero proporzionalmente una quota tale da reintegrare i 132 tomoli da quotizzare tra le famiglie meno abbienti del Comune. Questa operazione fu eseguita ed il 3 febbraio successivo tali terreni furono assegnati a sorte. Infine, la divisione delle Petrucche e della Selva non fu fatta focolarmente, bensì in ragione del numero dei componenti di ciascuna famiglia.
La Commissione feudale, istituita con Decreto di Giuseppe Bonaparte dell'11 novembre 1807, che aveva condannato il Principe di Caramanico a restituire all'Università di Montenerodomo i 4804 ducati indebitamente esatti quale tributo per le proprie favorite, oltre a tale condanna, con sentenza prima del 12 luglio 1809 e, successivamente, del 10 aprile 1810, abolì anche alcune altre prestazioni che il Principe esigeva annualmente dall'Università (colletta di Santa Maria, purghi, compensi per usi civici, ecc.) per un totale di 186 ducati e 80 grana.
Dei 4.804 ducati da restituire, infine, 1.200 ducati vennero defalcati a titolo di affrancazione del canone annuale che l'Università gli corrispondeva per le quarte del feudo dei Pizzi. Di conseguenza, non più al Barone, che lo aveva esatto fino ad allora, bensì all'Università era dovuto il terraggio dei coloni dei Pizzi.La stessa Commissione feudale, oltre a regolare i rapporti tra l'ex Barone ed il comune di Montenerodomo, regolarizzò anche quelli feudali di tutta la Contea di Palena, sciogliendo la promiscuità tra l'ex feudatario ed i Comuni che la costituivano. In particolare, nel 1809, si occupò del ricorso del comune di Lettopalena avverso la divisione del feudo dei Pizzi.
Questo feudo, situato ad occidente della terra di Montenerodomo, già enumerato nel Catalugus Baronum del XII secolo, quando, come quello di Montenegro, era feudo di un milite, dopo alterne vicende, fu, nel 1669, dall'Università di Lettopalena ceduto per 10 anni, per scomputo di debiti, al Principe di Caramanico e da questi non più restituito.
In epoca successiva, ma anteriormente alla emanazione della legge eversiva della feudalità (non trovandosene traccia nel Catasto Onciario del 1752), il feudo dei Pizzi fu diviso in quattro parti: quella denominata Pizzo da piedi fu assegnata al comune di Lettopalena, Pizzi-Selvoni a Montenerodomo (e ripartito fra i cittadini di questo Comune), Pizzi-Cascerie all'ex barone Carosi e Pizzi-Castell'Alberigo, detto anche Castelletta, per un quarto a Palena e per la rimanente parte al Principe di Caramanico.
Tale divisione fu modificata dalla Commissione feudale, che, con sentenza del 16.11.1809, reintegrò il comune di Lettopalena della parte del feudo assegnato al Principe di Caramanico.
Il Commissario De Thomasis, incaricato dell'applicazione di questa sentenza, modificò tale decisione assegnando al comune di Lettopalena la quarta parte del feudo e concedendo a quello di Montenerodomo 170 tomoli di territorio, già coltivati da coloni monteneresi, situati in zona limitrofa all'altra parte del feudo dei Pizzi già in possesso di quest'ultimo Comune.
Nella parte dei feudo assegnata a Lettopalena esistevano, però, delle colonie perpetue di Monteneresi. Tale situazione determinò una vertenza tra questi ed il Comune assegnatario che dovette essere appianata dell'Ufficio d'Intendenza della Provincia.
I pochi demani feudali che il Principe di Caramanico possedeva ancora in Montenerodomo e che era sua intenzione cedere al Comune a scomputo dei 3.400 ducati di cui era debitore, vennero, invece, acquistati, agli inizi dell'800, dalle famiglie Croce e De Thomasis, imparentate tra loro (Federico Croce, fratello di Onorato e Benedetto, aveva sposato Pulcheria De Thomasis, sorella di Giuseppe). Tali acquisizioni cancellarono di fatto a Montenerodomo "l'ultimo vestigio degli antichi signori consacrando la successione al loro posto della nuova borghesia" (B. Croce, op. cit.).
Sono queste famiglie, sempre più ricche e potenti, che organizzano la vita di tutto il paese dirigendone, oltre alla vita amministrativa, anche quella economica. Sono sempre esse, proprietarie di gran parte dei terreni, che stabiliscono quali terre coltivare e quali lasciare incolte e da adibire a pascolo, quali animali allevare o vendere, dove tagliare la legna da ardere.
E' ad esse che i poveri affittuari devono annualmente corrispondere un quantitativo fisso di frumento (il "terratico"), anche quando gli anni di carestia non permettevano un raccolto sufficiente ai fabbisogni.
Sono queste famiglie perfino a capo della locale Vendita della Carboneria, che comprendeva 19 affiliati, anche se questa, il cui sigillo recava la scritta "R. V. degli Amici della patria A. O. di Montenerodomo", fu, come riferisce il Croce, "poco più d'una allegra brigata di amici".
Nel bene o nel male tutti i Monteneresi avevano a che fare con queste due potenti famiglie, subendone l'influenza, l'egemonia e, a volte, le vessazioni.