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Juvanum nei secoli

In epoca protostorica il territorio di Montenerodomo era abitato dai Carecini, tribù sannita discendente da popolazioni di stirpe ariana che, provenienti dall'Europa nord-orientale, arrivarono in Italia attorno al II millennio a. C. . Caratteristica di questo popolo era quella di non formare grandi agglomerati urbani, ma di presidiare il territorio mediante piccoli e numerosi insediamenti sparsi nelle vallate e costruire, sulla sommità di alture e colline, recinti fortificati da imponenti mura (gli "oppida") a controllo delle valli sottostanti e dei tracciati viari.
Il principale centro fortificato dei Carecini infernates (meridionali), l'unico che potesse anche contenere un abitato, era certamente quello di Montenerodomo.
Quest'oppidum, insieme a quelli costruiti sulla sommità di Monte di Maio e del Colle della Guardia, posti a occidente e a breve distanza, tutti databili tra il VI e il IV secolo a. C. (e, probabilmente, ad un quarto centro fortificato situato a sud, sulla sommità di Monte Pidocchio), costituivano una sorta di sbarramento semicircolare a protezione della vallata in cui, nel IV secolo a. C., su un pianoro ricco di acqua sorgiva e all'incrocio di due tratturi che, attraverso il territorio carecino, mettevano in comunicazione il territorio peligno con quello frentano, sorgerà il santuario italico di Juvanum.
La presenza di una sorgente, ancor oggi abbondante, presso la quale probabilmente sostavano le greggi transumanti, fu senz'altro determinante per la scelta del luogo ove edificare il santuario. Nel corso o verso la fine del IV secolo a. C. la sommità della collinetta prospiciente la sorgente fu cinta di mura poligonali (il "temenos" o recinto sacro). Con tutta probabilità inizialmente il temenos racchiudeva un'area sacra senza templi. Poi, nel III secolo-prima metà del II secolo a. C., in posizione centrale, venne costruito un tempio tetrastilo (forse dedicato ad Ercole), ed, entro la metà del II secolo a. C., in sostituzione di questo, distrutto dal fuoco (forse durante la II guerra punica), ne fu edificato un altro ad esso parallelo. Infine, sempre nello stesso secolo, lungo il pendio rivolto verso la sorgente, fu poi costruito un teatro con la cavea totalmente addossata alla collina. La costruzione di quest'ultimo accentuò enormemente l'importanza del santuario che veniva così ad essere non solo un centro religioso, ma anche un importante centro amministrativo, sede di assemblee decisionali, specie nel periodo di preparazione del Bellum sociale.
I Carecini fanno il loro ingresso nella storia nel 354 a. C. quando, come costituenti della Lega Sannitica, insieme a Pentri, Irpini e Caudini, firmano un trattato di alleanza con Roma, probabilmente per definire i limiti delle rispettive zone d'influenza e di espansione territoriale e anche per fronteggiare il pericolo rappresentato dai Galli, a nord, e dai Greci-italioti, a sud. Ma, dopo appena undici anni, le mire espansionistiche delle due potenze militari portarono alla violazione del trattato e allo scatenamento di una serie di guerre combattute per il predominio sulla Penisola che si protrassero dal 343 al 290 a. C. (le tre guerre sannitiche) e, nuovamente, dal 284 al 272 a. C. (la guerra di Pirro) e che, dopo alterne vicende, vide la vittoria arridere alle armi romane.
Il territorio carecino fu interessato dagli eventi bellici nel 311 a. C., nel corso della II guerra sannitica. Alla ripresa delle ostilità, dopo l'onta delle Forche Caudine, l'esercito romano al comando del console Caio Giunio Bubulco Bruto fu inviato nel Sannio carecino per impedire che le forze etrusche potessero unirsi a quelle sannite. Il console riuscì nell'impresa ma Tito Livio è costretto ad ammettere che, a fronte di modesti successi che si risolsero nel saccheggio di minuscole comunità (Cataracta, Cerunilia), subì una serie di sconfitte nei pressi di Cluviae (l'oppidum dei Carecini Supernates) e di Juvanum (E.T. Salmon, Il Sannio e i Sanniti, Ed. Einaudi).
Durante la III guerra sannitica, poi, quando il teatro delle operazioni militari si spostò nel Sannio settentrionale, dopo l'occupazione romana di Aufidena, e, ancor più, durante la guerra con Pirro e la successiva fondazione della colonia romana di Aesernia, il tracciato viario passante per Juvanum assunse grande importanza e venne particolarmente sfruttato sia per la transumanza che per gli altri rapporti che intercorrevano fra Peligni, Carecini e Frentani.
L'ultimo disperato sussulto indipendentistico, dopo la fine delle guerre sannitiche, si registra nel 269 a. C. ed ha per protagonista un ostaggio sannita di nome Lollio, che, fuggito da Roma e rifugiatosi nel territorio carecino, a Cluviae, secondo il Salmon (op. cit.), nella roccaforte di Montenerodomo, secondo Gianluca Tagliamonte (I Sanniti, Longanesi Ed.), organizzò la ribellione dell'intera etnia carecina, che, però, venne repressa nel sangue, non senza difficoltà, dall'esercito romano guidato dai consoli Q. Ogulnus Gallus e C. Fabius Pictor (E. Fabbricotti, I Sanniti di Abruzzo e Molise, 1984; G. Tagliamonte, op. cit.).
Nei due secoli successivi i Carecini rimasero fedeli a Roma, anche dopo la disastrosa sconfitta di Canne, anzi furono proprio Pentri e Carecini a sconfiggere per la prima volta Annibale a Gerunium nel 217 a. C. . Tale fedeltà, pagata con la devastazione del proprio territorio da parte dell'esercito cartaginese (risale a quest'epoca, infatti, l'incendio del tempio iuvanense), fu ricompensata finanziariamente da Roma una volta scongiurato il pericolo cartaginese. Il particolare fervore edilizio che caratterizzò il territorio carecino (costruzione del secondo tempio iuvanense), pentro e frentano nel II secolo a. C., infatti, ne è la riprova, anche se allo sviluppo e all'abbellimento dei santuari sannitici in questo secolo concorse in maniera significativa il mecenatismo di potenti famiglie locali, che, arricchitesi enormemente sia con l'allevamento transumante che con la partecipazione alle attività commerciali con i paesi del Mediterraneo orientale, tentarono senza fortuna l'ascesa politica in Senato.
Così, cavalcando il malcontento delle popolazioni italiche, le quali, essendo "cives romani sine suffragio", non godevano degli stessi diritti e benefici dei Romani, fomentarono e sostennero la rivolta antiromana che sfociò nel Bellum sociale e che, dopo aver insanguinato la Penisola dal 91 all'87 a. C., si concluse con la concessione, da parte di Roma, della cittadinanza romana ai popoli italici. I Carecini divennero allora "cives romani optimo iure" e assegnati, insieme a Frentani e Marrucini, alla tribù Arniense.

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