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L’emigrazione verso l’Australia

La seconda Guerra Mondiale ha segnato negli animi dei monteneresi la rottura degli equilibri economico-sociali, già precari nel periodo pre-bellico. Alla distruzione fisica del paese si affiancavano le ferite morali, ancora più latenti e difficili da rimarginare; basti pensare che nel periodo 1944-1945, sono morte 72 persone, di cui 55 civili e 17 militari.

Gli anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale segnarono ancora un'altra dura prova per i monteneresi, i quali, non potendosi avvalere delle risorse interne, fecero ricorso alla via dell'emigrazione.

In una relazione redatta nel 1954 da un'assistente sociale riguardo alla fluttuazione demografica, viene riportato quanto segue: "il numero degli abitanti è soggetto a forti oscillazioni, a causa delle precarie condizioni economiche degli abitanti, i quali, non trovando sul luogo possibilità di occupazione, non esitano ad allontanarsi, non appena si prospetti loro la possibilità di una qualsiasi sistemazione". Dalla stessa, inoltre, viene riportato che la destinazione era subordinata alla retribuzione, e non al tipo di lavoro, al clima, alla lingua od al "modus vivendi".

Tuttavia, rispetto al periodo antecedente la grande guerra, il flusso migratorio subì un cambiamento di destinazione. Infatti, alla restrizione del numero degli immigrati in America del Nord (a seguito della Legge "Quota Act" del 19-05-1921), si aggiungeva la dura crisi economica che s'imbatteva nell'America Latina.

Parallelamente alle misure limitative delle Americhe, in Australia veniva avviato un programma d'immigrazione lanciato nell'agosto del 1945 dal Ministro Arthur Calwell, che prevedeva il popolamento e lo sfruttamento delle risorse. La Nuova America, fino ad allora non era stata una destinazione molto richiesta, sia perché era un continente ancora sconosciuto, sia per la distanza che rappresentava l'impossibilità ad un ritorno imminente.
Ad incoraggiare maggiormente l'emigrazione verso l'Australia, fu un accordo stipulato il 29-03-1951 fra il Governo Italiano ed il Governo del Commonwealth d'Australia. Secondo tale accordo, i due Governi s'impegnavano ad "assistere l'emigrazione permanente di persone idonee dall'Italia in Australia". Inoltre, l'art. 9 stabiliva che le autorità italiane competenti avrebbero provveduto alla selezione (attraverso visite mediche, reclutamento e raccolta dei documenti); l'art. 10 precisava che il Governo del Commonwealth si sarebbe occupato degli immigrati dopo lo sbarco (attraverso la sistemazione negli alloggi, l'occupazione...) e, infine, l'art. 7 precisava che le persone selezionate dovevano garantire per iscritto che sarebbero rimastee in Australia per un periodo non inferiore ai due anni. Il trattamento era lo stesso di quello riservato agli australiani. Grazie a quest'accordo, molti monteneresi poterono partire.
I primi ad espatriare furono coloro che avevano parenti che già negli anni '20 si erano stanziati lì; successivamente, l'emigrazione si allargò anche ad amici e conoscenti.
Bastava avere un atto di chiamata dall'Australia che garantiva un alloggio (affinché non fosse un "peso" per lo Stato), preparare i documenti, superare le visite, e tutto era fatto!

Dalle testimonianze di coloro che partirono in quegli anni si evidenzia, specie da parte delle donne, che non si aveva assolutamente la cognizione di cosa fosse il nuovo mondo, ma la necessità era talmente tanta che s'ignorava qualsiasi tipo di difficoltà.
Riguardo alla partenza, di solito, erano i parenti ad accompagnare i futuri emigranti al porto di Napoli (quello più vicino alle nostre zone). Il distacco dai propri cari rappresentava il momento più drammatico, poiché era inteso come un punto di non ritorno: l'allontanamento dalla certezza e l'inizio di un'incognita.

Il viaggio rappresentava un'altra dura prova: giorni e giorni solo a vedere l'acqua, anche perché erano navi da trasporto, contenevano lo stretto necessario per le esigenze dei viaggiatori, non da intendersi come le odierne navi da crociera. Con l'apertura del Canale di Suez, il tragitto si accorciò, comunque durava sempre una quarantina di giorni. A proposito del viaggio, una donna partita negli anni '50, così descrisse la sua esperienza: "appena sposata, mio marito partì per l'Australia, mentre io rimasi a Montenero, incinta. Non appena mio marito si stabilì e trovò lavoro, mi fece l'atto di richiamo; intanto, avevo avuto una bambina. Mia madre, nel preparare il bagaglio, con molta accortezza sistemò il mio corredo migliore, affinché non mancassero le lenzuola. Durante il viaggio, mi accorsi che non avevo portato i pannolini a sufficienza per la bambina, cosicché, non potendo sempre usare l'acqua per lavare i pochi stracci, fui costretta a tagliuzzare tutte le coperte che avevo".

Questo è solo un aneddoto, ma ci aiuta a riflettere sulle condizioni degli emigranti.

Arrivati in Australia, i monteneresi, non avevano pretese di svolgere lavori specializzati, ma si accontentavano di qualsiasi tipo di attività, poiché ad essi interessava più il guadagno. Successivamente, i lavori si diversificarono. Infatti l'occupazione specializzata diventò di prioritario inserimento; tuttavia, la richiesta era talmente alta che non era assolutamente problematico trovare un'occupazione. Naturalmente, il lavoro non rappresentava uno scoglio, ma i "problemi" erano altri: la lingua, la cultura altra, il clima, la lontananza...

Riguardo all'approccio linguistico, coloro che erano già emigrati verso la Germania erano avvantaggiati, poiché erano già abituati a suoni simili all'inglese. Inoltre, lo Stato australiano intervenne organizzando corsi d'inglese per stranieri, concentrati perlopiù nelle ore serali, proprio per favorire l'affluenza dei lavoratori (che durante il giorno erano impossibilitati a frequentare). Tali corsi duravano circa due anni e davano la possibilità di apprendere correttamente la lingua inglese, orale e scritta. Purtroppo, non tutti poterono sfruttare questa opportunità, cosicché ancora oggi in Australia, tra le persone anziane, ci sono alcune che parlano la lingua inglese con una forte influenza dialettale montenerese.

La nostalgia di Montenero rendeva, poi, l'adattamento più difficile; infatti, la maggior parte degli emigranti, si trovarono spaesati e piangevano e rimpiangevano l'Italia, ma non potevano tornare indietro perché non avevano né soldi per affrontare un nuovo viaggio, né il coraggio di essere considerati dei falliti.

Un altro scoglio era il clima, al Nord troppo caldo, mentre al Sud troppo umido; entrambi non si riscontravano nella realtà di Montenero, dove gli inverni erano rigidi, con tanta, tanta neve (che ormai rimaneva solo un ricordo!).

Quando i nostri compaesani arrivavano in Australia, trovavano un melting-pot linguistico e culturale: oltre agli aborigeni che erano stati allontanati dai centri urbanizzati o "europeizzati", c'erano gli immigrati che provenivano dall'Europa e dall'Asia.
Tuttavia, almeno le prime generazioni dei monteneresi hanno mantenuto vive la cultura e le tradizioni acquisite in Italia.

Negli ultimi tempi, specie i giovani si sono mostrati più aperti verso le culture altre, ciò è dimostrato anche dal fatto che molti non parlano più l'italiano (o ancor meglio il dialetto di Montenero), ma si stanno sempre più "inglesizzando".

Riguardo al numero degli emigranti in Australia, per i nati fino al 1969, si è potuto fare una stima, grazie ai dati forniti dell'AIRE. Dal grafico, si nota che la maggior parte della popolazione si è stabilita a Perth (51%), segue Melbourne (23%), Sydney (14%) ed infine Adelaide (12%).

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