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Leonilde Tamburrino (nilde de giammattist)

Prima che scoppiasse la Seconda Guerra Mondiale, vivevo con la mia famiglia a Montenerodomo, nel rione San Vito; con noi era venuto ad abitare zio Giustino Carozza, trasferitosi dopo la scomparsa della moglie. Egli era un ex maestro ed amava leggere, tant'è che a quei tempi era abbonato anche ad una rivista, che puntualmente prestava a mio padre Luigi. Proprio grazie alla lettura di un articolo di quel giornale, agli inizi di settembre, "tate" apprese che le truppe tedesche erano già sbarcate in Grecia.

Nei giorni seguenti si appurò che la guerra era ormai vicina anche alle nostre zone; così mio padre, con l'aiuto dei miei fratelli, Rocco e Peppe, prese i beni di prima necessità, tra cui 4-5 quintali di grano e li portò alla masseria de Sabbateine (Antonio Di Lullo), mentre parte del raccolto lo nascose a casa nostra, spargendolo sul pavimento della stanza e ricoprendolo con una coperta resistente.
Nel frattempo, per informarsi della situazione a Montenero ed altrove, "tate" frequentava periodicamente il Comune.
Il 4 ottobre 1943, fummo costretti a lasciare le nostre case: io, "tate" ed i miei fratelli fummo ospitati da Sabbateine; mia madre, Adelina, rimase a Montenero con zio Giustino, mentre mia nonna si trasferì presso la famiglia de Giovanni di giurgitte.

Il 26/11/1943 i tedeschi minarono il paese, solo allora mia madre si decise a raggiungerci; purtroppo, il maestro Giustino rimase in casa, dove morì d'inedia il mese successivo. Egli fu seppellito in una fossa provvisoria (scavata da Lucia Di Rocco e la figlia Maria Tamburrino), vicino all'abitazione de lu Bosse; dopo il ritiro delle truppe, ad aprile, mio padre portò la salma al cimitero comunale.

Durante l'occupazione, mio fratello Peppe fu chiamato alle armi e mandato in Grecia, distaccato a Rodi. Noi, a Montenero, ricevemmo una sola lettera in cui c'era scritto "Ringraziate Dio. E' affondata la prima nave". Poi non avemmo più notizie. Solo al suo ritorno, alla fine del '44, Peppe ci raccontò che erano partite due navi, la prima fu fatta affondare, mentre la seconda dov'era lui, arrivò a destinazione.

Intanto, a Montenero, "tate" e Rocco si erano spostati a Selvoni presso la famiglia D'Alessandro, (da Zi' Frangische de Frammilij), perché lì c'erano la stalla e un prato dove i tedeschi non erano ancora arrivati, e potevano allevare gli animali tranquillamente. Purtroppo, i tedeschi presto arrivarono anche lì e derubarono il nostro bestiame che fu ritrovato a Paganica, a Raiano e vicino Pizzoferrato, solo quando la guerra era finita.
Io e mia madre, continuavamo ad alloggiare da Sabbateine, dove risiedeva anche una famiglia di Bari. Il capofamiglia (La Pecorella Nino), siccome conosceva il tedesco, riusciva a colloquiare con loro e a barattare i viveri (essi ci davano qualcosa da mangiare, in cambio noi davamo loro il vino).

Restammo lì fino al 21 dicembre 1943. Dopo questa data, mamma e nonna rimasero lì, mentre io, Peppe e "tate", con l'aiuto della famiglia barese e di due uomini di Pizzoferrato che mediavano con i tedeschi, riuscimmo ad oltrepassare il fronte e a raggiungere Atessa. In seguito, la mia famiglia, insieme con quella di "Tonielle" arrivammo a Serracapriola, un paese che si trova in Puglia. Lì ci rincontrammo con altre persone di Montenero, tra cui Antonio de Ciangiuole, il quale trovò un lavoro anche a "tate".

Con noi non avevamo niente, solo una biancheria di ricambio, e tanti, tanti pidocchi.
Comunque, a Serracapriola trovammo rifugio nella stalla dove Antonio teneva i buoi.
La nostra fortuna fu che papà incontrò un pastore, che prima della guerra veniva a Monte Pidocchio per la transumanza. Egli ci trovò un altro rifugio, insieme con altre persone di Montenero (Cristina e Peppe de lu banntaure): dormivamo in una stalla, su sacchi pieni di paglia, mentre mangiavamo nella loro abitazione. Nella stalla, c'era anche un focolare che noi usavamo perlopiù per la disinfestazione dei panni.
Lasciammo Serracapriola alla fine di marzo del 1944, quando mio padre si era accertato che i tedeschi si erano allontanati da Montenero.
Quindi, per tornare, papà dovette prima andare a Barletta a ritirare un lasciapassare, e solo allora potemmo ripartire.
Arrivati a Roccascalegna, ci fermammo presso la famiglia dove abitava mia cugina Maria (de uierme), per una quindicina di giorni. Finalmente tornammo a Montenero e per un periodo alloggiammo a San Vito, a casa de Spaccaune, una delle poche abitazioni che aveva resistito alle terribili mine della SS.
In quel periodo, in paese si vedeva solo gente indaffarata a sgombrare le macerie: tutti scavavano, ripulivano e riciclavano ogni genere di materiale edile. Tutto il lavoro era fatto con mezzi di fortuna (carriole, zappe, picconi, pale, ecc..).

La mia famiglia poté ricostruire la casa, grazie al denaro prestato da un signore di Torricella Peligna (Carapelle), debito estinto progressivamente con i proventi della cantina, che mio padre gestiva.

(Testimonianza raccolta da Sonia Tamburrino).

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