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Le innovazioni del XIX sec.

Ma questi due casati furono anche artefici di importanti innovazioni nel campo agro-zootecnico. Oltre a incoraggiare la coltivazione della patata e del granturco, essi, infatti, obbligarono i propri mezzadri allo spietramento dei campi e alla rotazione delle colture, alternando la semina dei cereali (solina, carosella, grano marzuolo, spelta, orzo), del mais, dei legumi e delle patate a quella delle erbe da fieno (trifoglio, erba medica e lupinella, quest'ultima da noi chiamata "crucetta") che, oltre a rinvigorire i campi, incrementando la produzione di foraggio, permise l'allevamento a stabulazione fissa.
I Croce, inoltre, introdussero, primi in Abruzzo, l'allevamento dei bovini di razza bruna alpina e, mediante incroci con montoni merinos importati dalla Svizzera, selezionarono una nuova razza di pecore più adatte ai nostri climi e dal vello più abbondante.
Intorno a queste famiglie facoltose il paese, intanto, cresceva e sviluppava.
Era migliorata la viabilità con la costruzione della "Strada Peligna" e di quella che conduceva a Montepidocchio.
Si erano restaurati e abbelliti gli edifici usati per il culto, cioè la chiesa matrice di San Martino e quelle di Santa Giusta e di San Vito, quest'ultima giuspatronato e sepolcreto della famiglia Croce. Erano, invece, crollate le chiese di San Rocco, di Sant'Antonio, di Santa Lucia, del Purgatorio, del SS. Sacramento, della Madonna delle Grazie e l'antica chiesa di Santa Maria del Palazzo.
L'incremento demografico era costante. Dagli 820 abitanti di fine '700, la popolazione era salita a 1039 nel 1809 e a 1661 mezzo secolo dopo, quando, al Plebiscito del 1860, tutti i 458 elettori votanti (su 493 aventi diritto) si dichiararono favorevoli all'annessione al Regno d'Italia.
Dopo l'unità d'Italia anche il comune di Montenerodomo fu interessato dal fenomeno del brigantaggio.
A minacciare il nostro territorio fu la banda di Domenico Fante di Pennadomo che, seppur composta da un numero esiguo di briganti (per lo più disertori dell'esercito originari dei paesi del circondario), terrorizzò le nostre campagne con nefandezze di ogni genere come ricatti, sequestri di persone, omicidi, nonché aggressioni che, nel febbraio 1862, riguardò perfino il Sindaco di Montenerodomo, salvato, in quell'occasione, dalla pronta reazione dei compaesani che lo accompagnavano che ferirono lo stesso capo-brigante (N. Cavaliere, Patrioti gessani dell'800).
Le scorrerie di questa banda durarono fino al febbraio dell'anno successivo quando, sorpresa da un drappello di soldati e di Guardie Nazionali in un casolare tra i paesi di Palombaro e Fara San Martino, fu sbaragliata ed il Fante fu passato per le armi.

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